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venerdì 22 agosto 2014

Un messaggio dell'imperatore

Il celebre racconto di Franz Kafka (che lessi per la prima volta all'interno di una raccolta di novelle brevi, tra cui La metamorfosi) illustra magistralmente uno dei temi centrali dell'opera dello scrittore austro-ungarico, quello della solitudine del comune cittadino, ancorchè pefettamente ligio nell'osservanza di tutte leggi e convenzioni sociali, rispetto ad un potere che appare lontano, imperscrutabile, monolitico, ottuso.
Argomento che costituisce la struttura portante anche de Il processo. Nel famoso romanzo, l'impiegato Josef K. (sorta di tragico antesignano - su ben altri livelli letterari, si intende - dell'Ugo Fantozzi del nostro Paolo Villaggio) rimane vittima della sua stessa incapacità di ribellarsi all'assurda farsa di un processo che terminerà con l'esecuzione sbrigativa - mi viene da dire burocratica - di una condanna a morte altrettanto assurda.
Di tale processo sfugge ogni motivazione; ma anzichè opporsi, Josef K. non riuscirà a liberarsi dalla convinzione - e dalla speranza - che una qualche motivazione in realtà ci sia; e fino all'ultimo continuerà a sperare di ottenere una risposta, da un tribunale tanto sgangherato quanto privo di ogni umanità.
Come ne La metamorfosi, il senso di colpa prevale sulla libertà personale, la schiaccia completamente e la ottunde: "Come un cane!", disse, e fu come se la vergogna dovesse sopravvivergli. Sono queste le ultime parole e l'ultimo pensiero di Josef K., mentre la vita lo sta lasciando.
Nel Un messaggio dell'imperatore invece prevale il senso dell'attesa; l'attesa di una ragione per vivere, di un significato con cui riempire un'esistenza; esistenza che Franz Kafka terminerà tristemente, il 3 giugno del 1924, all'età di soli 41 anni.

L’imperatore – così si racconta – ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all’orecchio; e gli premeva tanto che se l’è fatto ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l’esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s’è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l’uno or con l’altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; e le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all’aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c’è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell’ultima porta – ma questo mai e poi mai potrà avvenire – c’è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto. Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera.

Franz Kafka, Un messaggio dell'imperatore (da La metamorfosi e altri racconti, Mondadori)


Immagine dal film La città proibita, di Zhang Yimou


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